Nella settimana emotivamente più difficile, il Monza saluta la storia e la riscrive, contro la storia del calcio italiano.
Dal recente “passato” con l’esonero di Giovanni Stroppa (omaggiato dalla Curva Pieri con uno striscione di gratitudine e affetto) all’incredibile impresa contro la Juve, il club brianzolo risorge dalle proprie ceneri come l’araba fenice e vola verso la prima vittoria in Serie A.
Ancora una volta il destino, accarezzato da un gesto cabalistico, ha illuminato il cammino biancorosso nel segno del 29.
Numeri e suggestioni che sembrano banali, ma non lo sono affatto. Perché al minuto 29 della ripresa, Christian Gytkjær suona ancora la campana. DIN DON, il Vichingo ha fatto gol. Come lo scorso 29 maggio all’Arena Garibaldi, ma questa volta nel focolare domestico dell’U-Power Stadium, tra le mura amiche di uno stadio in festa colorato di bandiere e sciarpe biancorosse. Una rete che legittima la storia, un gol che manda in delirio un popolo e una città.
E se l’eroe della domenica è stato il Thor della Brianza, l’uomo in più della squadra è riconducibile al pubblico, trascinato dal furore insuperabile della Curva Davide Pieri e spinto dalla passione di chi, per indole e natura, non molla mai. Un tifo caldissimo e partecipato che ha regalato al pubblico il grado di “Inafferrabile 12”, a riprendere il titolo di un lungometraggio del 1950 prodotto dalla I.C.S. (dietro cui si cela la famiglia Agnelli) in cui Walter Chiari vestiva i panni del portiere della Juventus.
Fatalità, proprio contro il club più titolato d’Italia, il Monza interpreta il miglior film della stagione con una performance autorevole e commovente, di grande impatto romantico.
Un risultato epocale, epifanico, impensabile solo all’idea, ma fondamentale e necessario. Perché l’armata brianzola è riuscita a tirare fuori quello che è mancato da inizio campionato: il cuore. Lo aveva detto Palladino alla vigilia del match, invocando a gran voce valori quali sacrificio, determinazione, spirito di squadra, intensità. Così è stato.
Non è mai semplice affrontare una big del campionato dopo un avvicendamento in panchina e una scommessa portata avanti dalla società. L’approdo del nuovo mister in prima squadra ha dato la scossa giusta ai giocatori, finora adagiati in un limbo irrisolto di sfiducia e smarrimento, in una sorta di crisi d’identità “pirandelliana”.
In pochi giorni il Monza ha switchato e contro la Juve è sceso in campo con il fuoco nel sangue, occhi di tigre, elettricità. Approccio deciso e motivato, squadra corta e bilanciata con un assetto tattico rivisitato a favore di una maggiore compattezza tra i reparti e una copertura ottimale degli spazi.
Il consueto 3-5-2 di Stroppa si è evoluto in un 3-4-2-1 palladiniano, un cambio di modulo indovinato anche in virtù di interventi mirati come l’inserimento del “Fante” Patrick Ciurria sulla corsia destra, carta giocata dal coach campano per battere la “Regina” in versione Vecchia Signora.
A piede invertito e nel ruolo di tornante a tutta fascia, l’84 biancorosso ha disputato una gara di sostanza e carattere, limitando le incursioni di Kostic e fluidificando la manovra in fase offensiva. Dal suo mancino sono nate le occasioni più pericolose del Monza e l’assist al bacio per il gol decisivo del match winner Christian Gytkjær. Degna di nota è la prova del reparto arretrato: i tre tenori Marlon, Pablo Marì e Izzo (vero leader difensivo) hanno annullato Vlahovic con una pressione asfissiante e una marcatura puntuale, costringendo ripetutamente il 9 bianconero all’errore e chiudendolo nella loro morsa.
Per la prima volta in 7 partite, Di Gregorio è stato il giocatore meno impegnato della gara subendo 0 gol, sintomo che la squadra concede meno e lavora meglio in fase di non possesso, grazie anche al lavoro di ripiego di Dany Mota che, a tutti gli effetti, è terminale offensivo e al tempo stesso primo difensore.
In mediana, invece, a regnare incontrastato sul rettangolo di gioco è Niccolò Rovella. Il principino di Segrate, di proprietà della Juve e in prestito secco al Monza, ha governato la mediana muovendosi con la classe e l’eleganza di un veterano del football, ma anche con la personalità di chi rischia la giocata per creare superiorità e ribaltare l’azione. Tocco graziato, palleggio rapido, pulizia nelle linee di passaggio, ritmo e geometrie, recupero della sfera e transizioni immediate: è lui il perno dello scacchiere brianzolo, l’architetto intermedio nella cattedrale delle verticalizzazioni che parte dalla base del portiere e raggiunge il centravanti al vertice. Una prestazione di livello per uno dei giovani talenti del calcio azzurro e della rosa monzese.
Contro una Juve in palese cortocircuito, attualmente affossata da un calcio longitudinale e di stasi, allergico alla dottrina offensiva e al dinamismo, il Monza ha dimostrato nell’arco dei 90 minuti di essere superiore e meritare la vittoria, imbrigliando gli avversari con una proposta organizzata e convinta, di qualità e quantità, applicazione e abnegazione, sentimento e garra.
Il club di Berlusconi e Galliani arriva alla sosta nel modo migliore, sulle ali dell’entusiasmo e della crescente autostima, con 4 punti nelle ultime due gare.
Le prossime due settimane serviranno a intensificare il lavoro, recupere gli infortunati, aumentare la condizione fisica e assimilare i concetti di mister Palladino per prepararsi al meglio agli scontri diretti in ottica salvezza. Prossima tappa: la trasferta di Genova contro la Sampdoria. Avanti tutta, a testa bassa. Con coraggio e umiltà. Sempre.
Autore: Stefano Pontoni
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