Lunga intervista di Cristian Brocchi a Radio Tv Serie A con Rds. L'ex allenatore del Monza parla di tutta la sua carriera, del trascorsi al Milan, alla Lazio, fino alla panchina del Monza, di cui dice: "Hanno deciso di mettere nelle mie mani un progetto importantissimo. Va considerato che allenare il Monza in serie C, dal punto di vista delle pressioni, era come allenare il Milan in Champions. Perché lì eri una persona importante per Berlusconi e Galliani. Mi ha scelto Galliani, è vero. La chiamata? Me la ricordo. Galliani mi disse: “Guarda Cristian, abbiamo preso il Monza, non sta andando bene. Abbiamo bisogno di avere una persona che capisca il nostro modo di lavorare, i nostri pensieri. Noi dobbiamo pensare in grande, dobbiamo arrivare in serie A nel giro di due, massimo tre anni. Non è una situazione facile, ma abbiamo bisogno di una persona affidabile”. A me queste parole avevano fatto molto piacere. In quel momento avevo una chance di andare ad allenare anche nelle categorie superiori. Ma era una questione di rispetto, di riconoscenza, di famiglia. Per me il Milan è una famiglia. Quando un tifoso del Milan mi sminuisce, mi critica, mi fa malissimo. Se vuoi farmi del male, fammi quello. Perché io al Milan ho dato tutto quello che avevo da quando avevo 9 anni sino a oggi. Sempre. Un amore, una passione. Si parla tanto di bandiere, di quei giocatori che non sono legati alla propria squadra. Però poi quando ci sono dei giocatori che lo sono, vengono sminuiti. E non è bello secondo il mio punto di vista. Comunque.
Vado a Monza, in una situazione complicata, centro sportivo da rifare, organizzazione così così. E nasce il Monza di Berlusconi e Galliani. Io non dovevo solo allenare, ma costruire un modello Monza, con tutta l’esperienza che ho avuto al Milan. Tant’è vero che al primo mercato, dopo un mese e mezzo che ero lì, abbiamo cambiato tipo 17 giocatori. Il problema era che tutti si aspettavano di vincere le partite sempre 3-0, ma in serie C non può mai essere così. Ci sono squadre che hanno speso come il Monza in serie C e ci hanno messo 3-4 anni a vincere il campionato. Fondamentalmente noi i primi 4 mesi siamo riusciti a fare bene, con giocatori di categorie superiori che però non giocavano da 6-7 mesi; dovevamo costruire un centro sportivo adatto a una società con un certo tipo di ambizioni. Non siamo riusciti a fare subito quel salto di qualità. Nella stagione successiva, con lo stesso blocco di giocatori e 2-3 innesti giusti, è saltata fuori un’annata strepitosa, a partire dalla Coppa Italia. Però c’era qualcosa che non mi convinceva, che mi portavo dietro sempre dal Milan; alcuni tifosi non mi hanno mai preso in simpatia e non so perché, non ho mai fatto dichiarazioni fuori luogo e ho sempre messo i tifosi davanti a tutto, in ogni club in cui ho giocato. Ogni tuo tifoso vorrebbe essere al tuo posto e per questo ho sempre portato molto rispetto. Mi dicevo: “Non capisco, siamo in serie C, siamo a + 15 e vengo criticato. Perché? Cos’ho che non va? Cosa faccio di male? Cos’è che non riesco a trasmettere alla gente?" Queste cose qui ogni volta facevano sempre più male. Tutte queste storie mi hanno condizionato, tant’è vero che l’anno dopo in serie B siamo arrivati terzi, perdendo la serie A, senza entrare troppo nei particolari, anche per fattori esterni. Abbiamo poi dovuto affrontare i playoff senza i giocatori più importanti in difesa e abbiamo sbagliato una partita, perdendo 3-0 a Cittadella, mangiandoci due gol clamorosi e prendendo reti in maniera evitabile. Nella partita di ritorno ci fermammo al 2-0, con il 3-0 saremmo passati in Finale. Finisce quell’esperienza, positivissima, anche perché nel frattempo Monzello diventa un centro bello, importante, strutturato nella maniera giusta grazie anche alla società. E l’anno successivo io ho tifato per Stroppa, che aveva preso il mio posto sulla panchina del Monza”.
Dopo la rescissione consensuale con il Monza, era giusto dividersi, mi aspettavo un nuovo mondo aperto. E invece non ho avuto niente, non mi ha chiamato nessuno. Motivo? Quell’etichetta lì mi ha fatto male. In molti hanno pensato che non allenavo per qualità, ma per altri motivi. Galliani? Per me il migliore in assoluto, ha una capacità di creare quella mentalità, quella professionalità, di esserti da sostegno, davvero unica. Poi è venuta fuori la possibilità di andare a Vicenza, con una situazione contraria: i tifosi mi hanno capito subito, ma ho faticato di più a creare una squadra anche a seconda di quelle che erano le mie idee. E poi ho avuto qualche problema di gestione post-mercato, si è creato un po’ di freddezza tra me e i direttori. E’ stata colpa mia.
L’errore più grande che ho fatto da allenatore è stato quello di fare un’intervista e dire una cosa negativa nei confronti del direttore sportivo del Monza, Antonelli, sbagliando. I panni sporchi si lavano in famiglia e soprattutto era una persona con cui avevo costruito un rapporto bellissimo, ci volevamo bene. Mi pento di questo errore, non è mai più capitato, dopo. E lì mi sono un po’ spento, mi sono un po’ allontanato dalla professione di allenatore. La voglia di tornare è tantissima, se c’è una cosa bella è stare in campo, creare un rapporto con i giocatori, vincere le partite: quell’adrenalina lì è unica".
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